Il mercato del latte in Alto Adige. Intervista ad Annemarie Kaser

“L’oro bianco dell’Alto Adige”, è così che viene chiamato il latte che ogni giorno arriva dai masi di montagna alle latterie. Secondo le stime del Bauernbund, in seguito alla pandemia sono circa un centinaio le aziende di piccoli produttori di latte altoatesini che ogni anno arrancano a causa del carovita. “Sebbene sia inferiore alla media europea, si tratta comunque di un numero elevato – ha dichiarato Annemarie Kaser, direttrice della Federazione Latterie Alto Adige – Speriamo di poter rallentare questa tendenza e forse anche di fermarla”.

La produzione di latte altoatesino

In media, ogni maso ha 15 mucche per un totale di circa 75.000 mucche sparse nelle stalle altoatesine. Una volta munto, il latte viene consegnato a una delle nove latterie, tra cui il Centro Latte Bressanone Brimi, la Latteria Vipiteno, la Latteria Sociale Merano o Latte Montagna Alto Adige – Mila, fondata nel 1962 e realtà più grande dell’Alto Adige. Qui viene poi imbottigliato o trasformato in uno dei numerosi prodotti caseari come yogurt, formaggio, ricotta, mozzarella e burro. “Insomma, i prodotti del settore caseario altoatesino sono frutto di un sistema complesso, che prevede la collaborazione di molti lavoratori e lavoratrici – spiega Kaser – In base alla razza, la produzione di latte varia dai 25 ai 30 litri al giorno.”

Ad occuparsi di questo “percorso del latte” è la Federazione Latteria Alto Adige, che cura gli interessi delle nove cooperative lattiere della regione. Tra i suoi obiettivi principali ci sono il supporto ai soci, il coordinamento degli interessi di settore e il controllo della qualità del latte. “La federazione trova le sue radici nel lontano 1941 – spiega Annemarie Kaser, direttrice della Federazione – con la nascita della prima latteria. Pochi anni dopo, nel ’48, viene organizzata la prima fiera campionaria di Bolzano, dove l’industria lattiero-casearia altoatesina si presenta per la prima volta al grande pubblico. Da lì la crescita continua, con la nascita del Centro Latte di Brunico e del colosso Mila; durante questi anni, i membri delle cooperative continuano a supportarsi e ad aiutarsi a vicenda. Il punto di svolta si raggiunge nel 1968, quando la federazione esegue le prime analisi professionali e comincia ad occuparsi del controllo di qualità.” Ad oggi, da quel lontano 1968 ne sono stati fatti tanti di passi avanti; oltre agli incarichi menzionati prima, la federazione si occupa anche di fare formazione e fornire consulenza a malghe e masi con caseificio, svolgere analisi e controlli in laboratorio e investire sul marketing e sulla comunicazione.

È dalla lavorazione di questo latte che si ottengono i prodotti caseari che troviamo al banco del supermercato. Più precisamente, 30% del latte fresco e di questi prodotti rimane sul territorio altoatesino, il 65% viene venduto in giro per l’Italia e il restante 5% all’estero, dove si esportano molti dei prodotti a lunga conservazione. “Tra questi – spiega Kaser – quelli che vendiamo in maggiore quantità sono il formaggio stagionato, esportato soprattutto in Germania, e il mascarpone, che arriva fino in Giappone.

Fatturato 2022

Nel 2022, il fatturato delle aziende lattiero-casearie altoatesine è stato di 610,25 milioni di euro, il 17,8% in più rispetto all’anno di crisi 2021. L’aumento del prezzo medio alla stalla è stato di 58,15 centesimi per chilogrammo di latte crudo rispetto all’anno precedente. Il prezzo medio per il latte di qualità senza OGM è stato di 56,47 centesimi, per il latte di fieno di 60,05 centesimi, per il latte di fieno biologico di 76,33 centesimi e per il latte di capra di 62,37 centesimi al chilogrammo. Nel 2021, il prezzo medio alla stalla era ancora di 50,17 centesimi. “Tuttavia, questo aumento mostra solo una faccia della medaglia – spiega Kaser – l’enorme aumento dei costi è l’altra”. ha spiegato Kaser.

L’aumento dei costi

Come molte altre, anche l’industria lattiero-casearia ha sofferto degli aumenti dei costi alimentati dall’esplosione dei prezzi dell’energia e delle materie prime nel 2022. “I nostri agricoltori ne risentono in tre modi – dichiara Kaser – nel settore privato, nella gestione della loro attività e come soci e quindi comproprietari delle aziende lattiero-casearie”.

L’esplosione dei costi, infatti, è anche il motivo per cui il reddito derivante dalla vendita del latte non è più sufficiente a coprire i costi di gestione di un’azienda lattiero-casearia per la maggior parte dei produttori. “Sempre più allevatori si rendono conto di non riuscire a far quadrare i conti con il reddito del latte e con quello del settore secondario, e si vedono costretti ad abbandonare del tutto l’attività o a trovare delle alternative. Spesso si specializzano nell’ingrasso e nella produzione di carne.” In totale, il numero di aziende lattiero-casearie in Alto Adige ha continuato a diminuire nel 2022, di 160 unità per un totale di 4040.

Per gli allevatori part-time in particolare, le normative sempre più stringenti si rivelano un onere estremamente gravoso. “Non solo il settore pubblico, ma anche le catene di distribuzione alimentare avanzano richieste sempre più elevate che vanno ben oltre la qualità dei prodotti”. Questi requisiti sempre più elevati si riflettono anche in un enorme aumento della burocrazia, che scoraggia non poco i produttori. “La burocrazia nel nostro settore è immensa“, ha sottolineato Kaser, “eppure gli agricoltori non sono alla scrivania, ma a casa, nei prati e nelle stalle”.  Oltre al calo del numero di fornitori, la diminuzione del volume di latte è dovuta anche a ragioni naturali. Ad esempio, Kaser ha fatto riferimento al caldo e alla siccità, che hanno comportato una minore disponibilità di mangime. Anche il tipo di allevamento, ovviamente, ha un notevole impatto ambientale. “L’allevamento a foraggio è il sistema più sostenibile. E un allevamento di montagna ben funzionante con i ruminanti è importante per la protezione dalle valanghe e dalle colate di fango”.

Il futuro dell’industria del latte

Dal momento che una guerra al ribasso dei prezzi avrebbe poco senso di fronte ai colossi del settore, si decide di puntare sulla qualità. “Abbiamo a che fare con un grande mercato lattiero-caseario globale in cui si applica la legge di mercato della domanda e dell’offerta e dove il singolo allevatore ha poche possibilità di intervenire. Non possiamo competere con altre aziende puntando sulla quantità, perché non intendiamo stressare il territorio – conclude – ma credo che possiamo farlo puntando sulla qualità dei nostri prodotti.  Bisogna anche tenere presente che molti dei grandi colossi sono aziende private che comprano la materia prima per poi rivenderla a ribasso, mentre noi siamo una Federazione che ha come unico scopo quello di tutelare gli animali, i lavoratori e le latterie.”

Vittoria Battaiola

Immagine in apertura: ritratto di Annemarie Kaser

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