“Chiedevo solo il rispetto di una libertà garantita dalla Costituzione”. Beppino Englaro a quindici anni dal “Caso Eluana”

Sono passati più di trentuno anni da quando Eluana Englaro ha smesso di vivere e oltre quattordici dalla sua morte. Era il 18 gennaio 1992 quando la ventunenne Eluana perse il controllo della propria auto sull’asfalto ghiacciato della strada che collega Calco a Lecco e si schiantò contro un muro e un palo. Quel giorno di gennaio del 1992, i genitori Beppino e Saturna si trovavano a Sesto, in Alto Adige, per una breve vacanza e l’angoscia con cui rientrarono a casa finì per accompagnarli per oltre diciassette anni.
Saturna se ne è andata nel dicembre del 2015, “consumata come una candela”, Beppino, classe 1941, continua, invece, a girare l’Italia per spiegare le ragioni che lo spinsero a portare avanti quella lunghissima battaglia per il rispetto delle volontà di sua figlia. Lo farà anche la sera del 10 novembre al Centro della Cultura di Merano ospite di Mairania 857 per la rassegna “Revolution – che la morte ci trovi vivi”.
Raggiunto telefonicamente, alla domanda “Cosa è rimasto di quella battaglia” passata alla storia come “Il caso Englaro” risponde con una premessa. “Guardi, io rivendicavo unicamente il rispetto di una libertà che non ci veniva riconosciuta. Le disposizioni di Eluana riguardo a come comportarsi nel caso si fosse trovata in quelle terribili condizioni erano state chiarissime. Io e Saturna chiedevamo solo che venissero rispettate”. Nei fatti, invece, a seguito dell’incidente, la vita di Eluana passò dalle sue mani, e da quelle della sua famiglia, a quelle di medici e magistrati.
Sintetizzare in poche righe il “Caso Englaro” è molto complicato. In estrema sintesi, a seguito dell’incidente la giovane di Lecco venne dichiarata in “stato vegetativo permanente” e negli anni successivi, la famiglia chiese ripetutamente l’autorizzazione ai interrompere l’alimentazione artificiale di Eluana che considerava un accanimento terapeutico in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione. Un articolo che è piuttosto esplicito sull’argomento “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Solo a novembre del 2008, la lunghissima questione processuale si concluse con l’autorizzazione da parte della Cassazione a interrompere l’alimentazione artificiale, ma da mesi, ormai, il caso era arrivato sui giornali e la sentenza fece esplodere un caso politico tra i più polarizzanti. Tra coloro che “brillarono” per mancanza di sensibilità e conoscenza della situazione, non si possono dimenticare l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi l’attuale premier, ai tempi ministro per la gioventù, Giorgia Meloni e i giornalisti Giuliano Ferrara e Vittorio Feltri.
Personaggi che si auto-nominarono paladini a difesa di Eluana che mai si sarebbe rivolta a loro e che era stata chiarissima ed esplicita sul comportamento da seguire nel caso si fosse trovata in quella situazione.
“Ci vollero 6233 giorni per poterle dire addio – precisa Beppino Englaro”. Uno più faticoso dell’altro, soprattutto gli ultimi. “Non pensando alla malafede, credevo che gli attacchi quotidiani che ricevevo come padre e come persona, fossero dovuti alla mancanza di conoscenza della realtà. Per questo, il 7 febbraio 2009, mi decisi a scrivere una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si era comportato in maniera molto equilibrata, e al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per invitarli al capezzale di Eluana”. Questo il testo: ”Da padre a padre, mi rivolgo al Presidente. della Repubblica Giorgio Napolitano e al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per invitare entrambi ed essi soli a venire a Udine per rendersi conto di persona e privatamente delle condizioni effettive di mia figlia Eluana su cui si sono diffuse notizie lontane dalla realtà che rischiano di confondere e deviare ogni commento e convincimento”.
Quell’invito, non raccolto anche per motivi di tempo, ci dice, però, molto della personalità di Beppino. Si trovava al centro di polemiche fortissime che non aveva cercato e che andavano trasformandosi sempre più spesso in atti di accusa personali e violenti. Nonostante questo, non ha mai rifiutato il confronto: “Pensavo che la gente avrebbe capito, anzi che aveva il diritto di capire e speravo di poter evitare ad altri quello che stavo vivendo io. La vicenda di Eluana era cristallina e semplice sin dall’inizio, non era un caso di eutanasia. Io ho sempre rivendicato l’autodeterminazione terapeutica, solo quella, ma all’inizio mi sono trovato davanti a un deserto”.

Beppino Englaro

Quello che in troppi sembrano non aver compreso, è che Beppino Englaro ha portato avanti la sua battaglia sorretto proprio dall’amore per sua figlia e per le sue volontà. Lo ha fatto con una dignità che non ha paragoni nella storia recente italiana. Da più parti era stato invitato a mostrare le immagini di sua figlia dopo anni di stato vegetativo su cui circolavano voci sempre più false e fantasiose, ma si rifiutò, proprio per lo straordinario rispetto nei confronti della figlia: “Mi dicevano che continuavano a girare immagini di Eluana giovane e bella e che questo era un inganno per l’opinione pubblica, ma io non ho ingannato nessuno. Le foto restano per sempre, non volevo che lo sguardo dell’opinione pubblica potesse indugiare con pietà o ribrezzo su chi avevo amato così tanto. Mi sembrava un oltraggio”.
Questo è, probabilmente, l’aspetto più sorprendente della vicenda, un uomo trasformatosi suo malgrado in personaggio pubblico che, nonostante le pressioni mediatiche e politiche non ha ceduto, non ha cercato scorciatoie ma ha proseguito la sua battaglia disposto a pagarne personalmente le conseguenze, senza farle pagare ad altri, in primis alla figlia.  Chiedergli dove ha trovato la forza risulta inevitabile. “Sono nato a Paluzza, ai piedi delle Alpi Carniche, in Friuli, durante la seconda guerra mondiale. Sono stato temprato dalla realtà sin dall’inizio, ma il mio comportamento non era così straordinario, ho banalmente continuato a diffondere le parole che avrebbe detto Eluana se fosse stata in grado. Era una perla rara”.

Prima dei saluti, ritorniamo alla domanda iniziale, al cosa è rimasto di quella lunga battaglia non solo processuale. Questa volta Beppino Englaro risponde in maniera precisa: “Siamo riusciti a ottenere la legge 219 del 2017 contenente le ‘norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento’. E’ stata una vittoria per le libertà fondamentali e per la libertà in generale”.
Sul più vasto tema del “fine vita” molto resta da fare e i ritardi del Parlamento continuano a essere sottolineati a più riprese dalla Corte Costituzionale, ma il “Caso Eluana Englaro” ha lasciato un’eredità fondamentale grazie all’impegno di Saturna e Beppino. La battaglia giuridica della famiglia è stata un pilastro del Testamento biologico.
Nel libro scritto da quest’ultimo e da Adriana Pannitteri “La vita senza limiti. La morte di Eluana in uno Stato di diritto” (Rizzoli), sono descritti i dettagli di questa complicata vicenda, ma due capitoli risultano strazianti a partire dal titolo: “Non sono un assassino” e “Sono stato un buon padre?”. Comunque la si pensi rispetto al “fine vita”, quel punto interrogativo non ha senso di esistere. Beppino Englaro è stato il migliore dei padri possibili. In quella situazione non ha ceduto di un millimetro a scorciatoie e ripicche. Non solo non è stato un assassino, ma ha difeso la libertà individuale come pochi altri nella storia recente italiana. Nel farlo, non si è mai nascosto dietro alla tragedia della figlia, ma le si è messo davanti per proteggerla, esclusivamente perché Eluana non era più in grado di farlo autonomamente. Altri hanno sfruttato questa tragedia per logiche di consenso, chiedersi se hanno avuto ragione, se “ha funzionato” rischia di spalancare una finestra sull’abisso.

Massimiliano Boschi

 

 

 

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