Formazione, dati allarmanti: per le micro imprese è inutile

Che le imprese italiane non credano molto alla formazione continua è un dato ormai consolidato da diverse ricerche. Occorre però considerare che nella categoria “imprese” sono accomunate realtà molto diverse tra di loro, da grandi aziende rivolte all’esportazione ed organizzate in modo “evoluto” e da migliaia di piccole e micro imprese che rappresentano la grande parte del tessuto imprenditoriale italiano. E sono proprio le micro imprese, quelle sotto i 10 dipendenti, che a quanto pare alla formazione continua proprio non credono: su un panel di 500 micro imprese interpellate dall’Osservatorio ExpoTraining, ben 280 imprenditori hanno definito la formazione “una perdita di tempo”, ed altri 95 (pari al 19%) pur riconoscendone in teoria l’utilità, non hanno mai messo in atto programmi di formazione. 

Formazione, dati preoccupanti

formazione-inutileTra i settori che alla formazione credono meno, spicca il commercio ( complessivamente tra scettici e coloro che comunque non hanno mai svolto formazione, si arriva al 79%) e l’artigianato (61%). “Si tratta di un ritardo culturale e di cultura imprenditoriale che pagheremo e che pagheremo presto. Con la velocità con la quale il mercato si trasforma, anche per le piccolissime imprese, molte di queste rischiano di essere spazzate via nei prossimi anni. Basti pensare alla crisi che attraversa il commercio, assediato da centri commerciali e dall’e-commerce. – ha dichiarato Carlo Barberis, Presidente dell’Osservatorio ExpoTraining. 

“Le micro imprese sono da sempre poco considerate dalle ricerche e dalle politiche pubbliche, pur rappresentando il 95% delle aziende italiane, pari al 95% del totale e dando lavoro a 7,8 milioni di persone. Lavoratori in gran parte esclusi dalla formazione e dalla riqualificazione delle competenze, che invece rappresentano un grande patrimonio su cui è necessario puntare per la tenuta del tessuto imprenditoriale ed occupazione italiano.” “Le nostre micro imprese stanno invecchiando in fretta. Ed invecchiando stanno rimanendo sempre più fuori dal mercato. E non si parla solo di scenari globali ed internazionali: il mercato da cui rischiano di uscire è proprio quello a cui si rivolgono in massima parte, quello locale e nazionale. Il “cambiamento” non è più solo una necessità inderogabile per le aziende più strutturate, ma coinvolge e coinvolgerà sempre di più nei prossimi anni anche la realtà più piccole e diffuse. Ad esempio la digitalizzazione ed il web stanno cambiando le abitudini di acquisto di molti italiani e si prevede che nei prossimi anni questo fenomeno sarà addirittura travolgente. Eppure poco si sta facendo per tenere il passo ed il problema, coinvolgendo così tante imprese e lavoratori, non può e non deve essere trascurato o ritenuto meno urgente.”

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