L'Europa? Per l'Alto Adige è ancora una comfort zone. E il futuro è bello: basta volerlo guardare

Domani, 26 maggio, si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e da settimane i media evidenziano come negli ultimi dieci anni sia cambiata la percezione dell’Europa da parte dei cittadini italiani. Da forti europeisti si sarebbero trasformati in euroscettici. Da questo punto di vista, l’Alto Adige/Südtirol non sembra mostrare gli stessi sintomi. Per la maggior parte dei cittadini altoatesini e sudtirolesi, l’Europa sembra essere ancora una comfort zone, una cornice in cui le divisioni e le contrapposizioni si possono allentare, persino sciogliersi. Senza dimenticare che è più facile essere contrari all’Euro quando si dista centinaia di chilometri dal primo confine europeo che non quando il confine fa parte dell’arredamento di casa.

Ma per comprendere meglio quanto queste sensazioni siano reali, sono tornato all’Eurac, (l’”Accademia Europea”) per incontrare Francesco Palermo, direttore dell’Istituto per lo Studio del Federalismo e del Regionalismo del Centro di Ricerca di via Druso, professore di diritto costituzionale comparato all’Università di Verona nonché amatissima «ciambella di salvataggio» di giornalisti che, quando la questione si fa complessa, sanno di poter contare su di lui. Una sorta di numero Ice (In Case of Emergency) delle redazioni locali, quello da digitare quando si vogliono ascoltare e riportare parole non banali e prive di retorica.
In vista delle elezioni europee lo hanno già contattato praticamente tutti, giornalisti di lingua italiana e di lingua tedesca, ma questo non mi ha impedito di chiedergli un’intervista, la speranza, ovviamente esaudita, era quella di strappargli anche un parere sulle impressioni raccolte in queste prime quattordici puntate di Alto Adige Doc.

Lo incontro all’Eurac prima di un’iniziativa pubblica dedicata proprio all’Europa e parto con una domanda non particolarmente semplice: l’Alto Adige ha paura dei cambiamenti e del futuro, più che dell’Europa?. La risposta di Palermo risulta molto meno grossolana della domanda: «Si ricorda continuamente che il mondo sta cambiando. È verissimo, ma non è una novità. Il mondo non è mai stato fermo, ogni epoca è stata un’epoca di cambiamento. La differenza è che oggi il cambiamento è semplicemente accelerato. Tutto avviene e cambia più velocemente e tutto ci sembra sfuggire di mano. Quindi direi che la novità non sta nel cambiamento ma nella sua rapidità. Naturalmente ciò richiede una maggiore rapidità anche nell’adattamento ai cambiamenti. La reazione è in diversi casi quella di provare a rallentare, illudendosi che non guardando ciò che accade si impedisca che accada».

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Non a caso il sentimento che ho notato più spesso riguardo alle tematiche più “calde” trattate in questa rubrica. Palermo, però, si mostra meno meravigliato di me: «È un fenomeno normale, che riguarda sia gli individui sia le comunità. Spesso per la paura di guardare avanti si guarda indietro. Quando si fatica a gestire quel che succede, quando si hanno poche chiavi di lettura e le domande sembrano troppo complicate, si finisce quasi sempre per cercare una risposta nel passato, nelle abitudini più consolidate. In un primo momento è rassicurante, ma nel medio termine diventa pericoloso. Per fare un esempio, lo slogan di Trump “Make America Great Again – Facciamo tornare grande l’America” si rifà a un mitico passato glorioso (e un vecchio slogan di Reagan ndr). Questo succede pressoché ovunque e l’Alto Adige non fa eccezione. Viviamo in anni di provincialismo generalizzato, la differenza è che qui persiste la mentalità del tortellino etnico. Continuiamo a crederci avvolti dal manto etnico senza aver compreso che il ripieno è già uscito. Magari si è riaggregato in modi diversi e non meno pericolosi, come sono le nuove contrapposizioni: razzismo, xenofobia, classismo. Ma per evitare il confronto con schemi ancora sfuggenti si tende a usare gli occhiali del passato, perché a quelli siamo abituati».

Occhiali che, a quanto pare, sono adatti ai presbiti, a coloro che preferiscono veder bene le cose vicine, quelli che si usano più spesso quando si è seduti su una comoda poltrona. «Quello della toponomastica è un esempio lampante di questi fenomeni. Tutti capiscono che si tratta di questioni di poco rilievo, ma siccome hanno una valenza simbolica si prestano ottimamente alla logica dello sguardo all’indietro. Offre categorie comode. Direi quasi di luddismo identitario: il rifiuto delle nuove e più complesse sfide trova in queste vicende un comodissimo espediente. È paradossalmente rassicurante anche per chi lo vede con timore. Ciò che rassicura sono le categorie mentali, che sono quelle consolidate: proprietà, identità, simbolo, comunità».

Parole d’ordine che viaggiano come il vento in politica, ma molto meno facilmente nel mondo imprenditoriale e culturale. Questo, però, non sembra rassicurare Francesco Palermo: «Credo che anche in Alto Adige non manchino i gestori consapevoli del futuro, ma non sono in grado di determinare l’agenda, né probabilmente hanno interesse a farlo. La politica (non solo certo in questo territorio) fatica ad essere propositiva, e va a rimorchio. Non è questione di scarsa qualità della classe politica, come si tende a ripetere, seguendo la stessa logica che guarda all’indietro, per cui si tende sempre a pensare che i politici di una volta fossero bravi e quelli di oggi scarsi, dimenticandosi che lo si diceva anche in passato. No, piuttosto si tratta di un cambiamento sociale. La società è frammentata e individualizzata, e non viene più indirizzata dalla politica. Questa dunque non è più in grado di organizzare la società, ma prova solo a governare il quotidiano o poco più. Arrivando sempre inevitabilmente in ritardo, perché le cose sono già successe. Purtroppo, non si è creato un sistema alternativo. Chi ha trovato spazi in attività che funzionano bene e cavalcano il futuro ha interesse a che la politica disturbi il meno possibile il suo lavoro. Non ha nessun interesse di tipo collettivo, se non quello di orientare i consumi. La politica è quasi di troppo, per molti di loro. Non è una caratteristica solo di questo territorio. Accade ovunque. La differenza la fanno i sistemi territoriali, la capacità di fare rete, la quantità di soggetti che in un territorio sono orientati al futuro. Forse nel complesso da questo punto di vista l’Alto Adige non è messo poi male: le attività innovative ci sono, il tessuto sociale è complessivamente coeso, esiste un sistema discretamente organizzato».

Una nota di ottimismo che non può che far piacere, ma il tempo stringe e domani si vota per il Parlamento Europeo. Essere ottimisti riguardo al futuro dell’Europa sembra molto più complicato:
«E’ anche perché oggi tutti si attendono risposte rapide e possibilmente semplici. Se questo è un problema per tutti i livelli di governo, lo è in particolare per l’Unione europea. Perché se c’è un’entità che non è in grado di dare risposte rapide e di sopravvivere grazie agli slogan, è proprio l’Europa. L’Unione Europea è accusata di essere responsabile dell’arrivo dei migranti, si parla di Europa e immigrazione come fossero due aspetti dello stesso fenomeno invece di pensare a come gestire una comune politica europea sull’asilo. Se non ci fosse l’Europa non ci sarebbe l’immigrazione? Mi sembra che si faccia molta confusione, non è la banalità del male, ma la banalità del banale, a forza di ripetere sempre le stesse cose veniamo condizionati e pensiamo che esistano connessioni tra fenomeni che non hanno nessun nesso».

Un’Europa che, forse, paga il desiderio di trasformarsi in fortezza. Alex Langer definì l’accordo di Schengen. «Un accordo tra polizie e di efficienza poliziesca che non mi sembra il miglior modello europeo»: Il muro che divide l’Ungheria dalla Serbia, quello visitato di recente dal ministro degli Interni italiano, sembra dargli ragione. I ponti hanno lasciato spazio ai muri. «Personalmente sono d’accordo. Però questa in ultimo è una preferenza politica e ideologica. Un conto è il confronto tra le diverse idee di come si intende governare l’Europa nelle diverse materie. Un altro è mettere in discussione per questo il progetto stesso. Per determinare le scelte politiche ci sono le elezioni. E a queste l’Europa può sopravvivere. Rischia invece di soccombere davanti alla banalizzazione della comunicazione che la riguarda, alla volontà di costringerla in schemi tipici degli stati, all’invocazione di slogan come la lontananza dai cittadini».

Massimiliano Boschi

Quasi tutto quel che di importante e “speciale” accade in Alto Adige viene letto, spiegato e persino giustificato, con quanto avvenuto nel passato. Oggi come venti o trent’anni fa. Una “lettura” che può funzionare finché si discute di proporzionale etnica o di toponomastica, ma che oggi risulta fuorviante. E’ sufficiente camminare per le periferie del capoluogo o visitare Fortezza, Salorno o il Brennero per comprenderlo. Sarà fuori moda, ma per sostenere una tesi occorrono fatti, dati e circostanze. Per questo è nato AltoAdige.doc. Ecco la terza inchiesta, la prima riguardava l’ospedale di Bolzano, la seconda ci ha raccontato come leggere il passato a volte ci porti a capire meglio fenomeni (e loro pesi) attuali. La terza puntata è stato un viaggio… in Calabria, o meglio nell’enclave calabra (ma non solo) formata dai lavoratori del BBT. Operai che fanno un lavoro massacrante, lontani da casa. Perché costruire il futuro, ancor oggi, passa spesso attraverso sudore e sacrifici. La quarta, invece, è stato un viaggio nella toponomastica: probabilmente un falso problema, ecco perché. Ma il tunnel di base del Brennero, e il mondo che ci sta accanto, ha fatto molto parlare di sé. E noi ci siamo tornati per il quinto articolo. Mentre abbiamo cambiato argomento per l’ultimo nostro approfondimento: un’intervista alla procuratrice capo del Tribunale dei Minori di Bolzano. Per capire, o meglio cercare di farlo, le vere radici di fenomeni di violenza giovanile. Nella sesta puntata abbiamo raccontato la storia di K., e delle sue peripezie, per poi virare sul turismo (e la sua venerazione) e sul melting pot culturale di Fortezza, esempio altoatesino di dinamiche – sorpassate e inefficaci – di integrazione linguistica. Siamo passati poi a parlare di turismo e centri storici che diventano «nomadi», per virare – leggermente – poi sul Treno delle Dolomiti e l’importanza della sua realizzazione. Sempre in tema di trasporti ecco l’approfondimento su Flixbus e la sua prima partnership italiana, a Siusi. Abbiamo parlato poi di storie di razzismo quotidiano verso altoatesine con il velo e la pelle scura

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