Distacco dei lavoratori all'estero, le novità proposte dalla Commissione Ue

Il distacco dei lavoratori all’estero potrebbe presto cambiare. L’Unione Europea infatti è attraversata da un dibattito di cui poco si parla ma che tocca da vicino la realtà delle aziende che lavorano con altri paesi comunitari, come tante di quelle insediate in Alto Adige.

Uno dei problemi affrontati dalla proposta di revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori presentata dalla Commissione Europea l’8 marzo è il dumping salariale. E cioè la “concorrenza sleale” che le imprese di un paese a basso costo del lavoro mettono in atto quando mandano i propri collaboratori in paesi dai salari più alti, magari perché vi hanno vinto un appalto offrendo un prezzo molto basso. La proposta mira ad imporre livelli salariali più elevati, e per questo ha trovato un agguerrito fronte contrario formato da 11 stati membri, soprattutto dell’Europa dell’Est.

Sarah Barutti, avvocato esperto in processi di internazionalizzazione e collaboratrice dello studio Spolverato Barillari & Partners, affronta il tema in un post sul magazine Il Futuro al lavoro, ospitata dall’avvocato Gianluca Spolverato. Ecco i punti principali da conoscere sull’attuale normativa e sulle modifiche proposte alla direttiva 96/71/CE.

Come funziona il “distacco” nel diritto europeo

Si chiama lavoratore “distaccato” quello che viene inviato per un periodo limitato a svolgere na prestazione nel territorio di uno Stato membro Ue diverso da quello in cui lavora abitualmente (altra cosa è l’assunzione di un lavoratore in pianta stabile all’estero, ne abbiamo parlato qui).

Sarah Barutti

Sarah Barutti

Qui le cose iniziano a complicarsi: per alcune garanzie di base al lavoratore si applicano norme dello Stato ospitante, a partire dalla sanità, fino alla sicurezza e all’igiene e alla parità di trattamento; altri aspetti invece si rifanno alle norme dello Stato di origine (è il caso del diritto del lavoro, ad esempio la tutela contro il licenziamento ingiustificato). Non c’è un limite temporale massimo al distacco, ma conviene non superare i 24 mesi, perché solo entro questi termini il sistema di sicurezza sociale copre il lavoratore (Reg. 883/2004).

Ma proprio qui interviene la prima proposta di modifica della Commissione Ue. Che vuole far sì che, dopo i primi 24 mesi, si applichino tutte le regole del diritto del lavoro dello Stato ospitante. E quindi stessi diritti, stesse tutele e stessi contributi allo stesso livello degli “autoctoni”. Con, ovviamente, costi maggiori per l’azienda.

Salari uguali, la proposta Ue che fa arrabbiare 11 Paesi

La seconda proposta della Commissione riguarda il salario, ed è il punto più contestato dagli 11 Paesi “ribelli”. «L’attuale direttiva prescrive unicamente che ai lavoratori siano garantite le tariffe minime salariali – spiega Sarah Barutti –, mentre, sulla base della nuova proposta, ai lavoratori distaccati dovranno applicarsi tutte le norme relative alla retribuzione che valgono generalmente per i lavoratori locali».

Non solo un minimo sotto il quale non si può scendere, dunque, ma parità di salario. Con un costo che, nel caso di un’azienda di uno dei paesi dell’Est Europa, ad esempio, sarebbe certamente maggiore. «Quindi, se inviamo un lavoratore in Francia, oltre al salario minimo garantito previsto dalla legislazione francese – prosegue la legale –, gli verranno riconosciuti tutti gli altri elementi della retribuzione previsti dalla legge o dal contratto collettivo, quali i bonus o le indennità (ad esempio, tredicesima e quattordicesima), ove presenti».

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