Il lago di Braies ai tempi di Instagram: nuovi pellegrini in adorazione della foto (già scattata)

A chi piacerebbe vivere in un parco a tema? Probabilmente a nessuno, nemmeno ai bambini, soprattutto se fosse il parco a tema a venire da voi e non il contrario. Chi considerasse la domanda di scarsa attualità e nessun interesse concreto, può dirigersi verso Hallstatt, cittadina austriaca di 778 abitanti e un milione di turisti l’anno. Hallstatt sorge in una zona ai piedi del massiccio del Dachstein che per molti secoli è stato considerato isolato e inospitale. Solo nella seconda metà del ventesimo secolo si è trasformato in un “luogo di charme” in grado di attirare qualche decina di migliaia di turisti all’anno, grazie alle graziose case e al campanile che si riflettono nel lago. Un luogo talmente piccolo e delicato che nel 1997 l’Unesco ha pensato di preservarlo nella sua integrità inserendolo nella lista dei “Patrimoni dell’Umanità”. Così è iniziata la sua trasformazione in un parco a tema.

Alla ricerca della foto ad Hallstatt

Prima sono arrivate le televisioni di mezzo mondo, poi un miliardario cinese che l’ha vista e ha pensato: “Bella, la voglio anche io”. Nel 2011 ne ha fatta costruire una nella contea di Luoyang, nella Cina orientale, ottocento km a sud di Pechino, riuscendo a stuzzicare la voglia di ammirare l’originale dal vivo a milioni di cinesi. Il resto lo si deve a Instagram, Hallstatt è stata definita “la città più instagrammabile del mondo”e qualcuno ha incominciato a diffondere l’idea che il villaggio di Arendelle di Frozen fosse stato ispirato proprio ad Hallstatt.  Risultato finale: picchi di 90 bus e 10.000 turisti al giorno, tutti o quasi in cerca di un unico scatto fotografico. La permanenza media è di meno di due ore e, inevitabilmente sono partite le contromisure, il sindaco si è dato l’obiettivo di ridurre di un terzo il numero di turisti e ha deciso di inserire il tetto di 50 bus turistici al giorno.

La copia cinese

Bene, tutta questa premessa serviva unicamente per presentare l’Hallstatt de’ noantri: il lago di Braies. Come noto, la scorsa estate le autorità altoatesine hanno deciso alcune restrizioni per l’accesso al lago. Dal 10 luglio al 10 settembre  la valle di Braies sarebbe stata raggiungibile dalle 10 alle 15 solo con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta. Una decisione presa a seguito del numero di automobili che quotidianamente attraversavano la valle fino a raggiungere il lago (circa 7.000) mentre nei giorni di maggiore afflusso “si contavano diecimila turisti contemporaneamente presenti nella zona del lago”. Guarda caso proprio lo stesso numero di Hallstatt.

Foto o cartolina? Hallstatt con la luce del mattino

I turisti, però, non hanno iniziato a raggiungere Braies per colpa di un miliardario cinese o di qualche rumors su un film Disney, ma a seguito di precise politiche di marketing di Idm, ente provinciale che fornisce “servizi con l’obiettivo di favorire uno sviluppo sostenibile dell’economia locale”. Idm ha, infatti, finanziato, anche attraverso progetti speciali, “A un passo dal cielo”, serie di grande successo giunta alla sua quinta stagione (sostenuta con 850.000 euro da Idm). Migliaia di appassionati italiani sono così calati sul Lago di Braies per fotografare lo straordinario panorama di “A un passo dal cielo”. Al resto ha pensato Instagram. Ironia della sorte, è toccato proprio a Idm spiegare i motivi della chiusura estive delle strade che portavano al lago di Braies. Una “chiusura” che ha attirato l’attenzione di Alberto Gottardo e Francesca Sironi che stavano girando “Quasi Venezia“, un documentario sul turismo “low cost” e “mordi e fuggi”.

Hallstatt in versione Frozen

“Quasi Venezia”, va precisato, non si occupa unicamente di Braies, ma anche di Venezia e dei viaggi dei turisti milanesi che partono di notte da Piazza Argentina per raggiungere la bianche spiagge di Vada – gentilmente create dagli scarichi della locale industria Solvay – e ritornare a Milano in serata. Dopo aver visto il documentario e averlo apprezzato oltre ogni aspettativa, ho pensato che fosse meglio far raccontare a loro cosa avessero osservato e ripreso sulle rive del lago della Val Pusteria.

Meglio uno sguardo esterno, meno coinvolto di chi risiede in Alto Adige.

Inevitabilmente, ho incominciato l’intervista chiedendo agli autori perché avevano scelto Braies: «Avevamo letto delle limitazioni al traffico decise per scoraggiare l’afflusso massiccio di turisti e questo ci ha fatto pensare al numero chiuso di cui si stava discutendo anche a Venezia. Cercavamo di capirne le dinamiche, ma siamo rimasti sorpresi, perché non abbiamo avuto nessun problema per arrivare sul lago e parcheggiare nel mega parcheggio che sorge a pochi metri dalle rive del lago. Ci è sembrato paradossale ammirare con tanta facilità un luogo che volevamo visitare per i limiti che si volevano imporre al flusso turistico».

Era il primo week end di settembre del 2019 e la folla non mancava. «La mattina seguente siamo arrivati al lago alle sei di mattina per poter ammirare il luogo tranquillamente e sistemare le telecamere con maggiore libertà». Ed è arrivata la seconda sorpresa: «Quando siamo arrivati ci siamo accorti che i punti di vista più suggestivi erano già stati occupati da tre compagnie di fotografi amatoriali che erano lì grazie a un pacchetto completo organizzato da un corso di fotografia. Ci siamo quindi ritagliati un posto più appartato e abbiamo incominciato a intervistare i turisti. Va precisato che ci siamo limitati a fare domande, volevamo evitare la deriva sociologica. Era comunque impossibile non notare come la maggior parte delle persone cercasse dei luoghi particolari e delle visuali specifiche per scattare la foto da condividere o portare a casa. In un lago già piccolo, cercavano luoghi ancor più definiti per scattare immagini che fossero facilmente identificabili dai follower sui social. Siamo rimasti stupiti della pervasività di questi comportamenti che accomunavano le persone più semplici a quelle più colte o creative».

A quanto pare non era nemmeno un’esperienza particolarmente “low cost”. «Ne eravamo coscienti sin dall’inizio, ma ne abbiamo avuto conferma. Erano presenti coppie di sposi che avevano raggiunto Braies dall’Europa dell’Est unicamente per scattare le foto del loro book matrimoniale. Un turista russo aveva persino chiesto e ottenuto di riservare uno dei punti di vista più suggestivi per poter scattare le foto con la moglie all’alba e senza intrusioni». Chiedersi cosa spinga milioni di persone a fare migliaia di chilometri per fotografare un posto nello stesso identico modo di come lo avevano già visto sui social o in tv può essere frustrante, ma ho comunque provato a capire se fosse uno dei tanti effetti collaterali dovuti all’utilizzo dei social.

Sono state le parole del mio compagno di registrazioni radiofoniche, Daniele Mistura, a indirizzarmi sulla strada giusta: «Questi turisti mi ricordano i pellegrini in occasione dell’ostensione delle reliquie». In effetti, il meccanismo non sembra tanto diverso, se non fosse che ora viaggiare è diventato enormemente più semplice. I certificati Unesco sembrano aver sostituito le bolle papali, mentre basta una scenografia particolarmente suggestiva e una “citazione famosa” per attirare milioni di pellegrini.

Senza scomodare i santi, può insegnarci qualcosa quel che succede ogni giorno al Louvre davanti alla Gioconda. Un fenomeno che dura da oltre un secolo. Un episodio sembra spiegare più di ogni altro come l’oggetto della visita sia fondamentalmente poco importante. Come noto, nell’agosto del 1911 la Gioconda venne rubata, ma questo finì per attirare ancor più visitatori che si recarono al Louvre per ammirare lo spazio vuoto in cui non era più ospitato il quadro di Leonardo. Tra questi anche Franz Kafka.  Non sembra, quindi, un luogo o un oggetto a catalizzare l’interesse, ma la capacità di farci sentire partecipi di un determinato mondo.

Forse non c’è molto da aggiungere a quanto già scritto da Marshall McLuhan: «Il mondo è diventato una specie di museo di oggetti che abbiamo già incontrato in un altro medium, il turista si limita a verificare le proprie reazioni di fronte a cose che gli sono da tempo familiari e scattare a sua volta delle foto». Quando McLuhan l’ha scritto, internet non era stato nemmeno immaginato, ma oggi sembra difficile smentirlo. Grazie alla rete e alla facilità di spostamento, tutto il mondo sembra oggi indirizzato verso la trasformazione in un enorme parco a tema, ma, forse, sono proprio i bambini a poterci indicare uno sguardo e un percorso alternativo.

Prima di conoscere Instagram, c’è ancora qualcuno che vede Braies com’è

Alberto Gottardo e Francesca Sironi sembrano esserne convinti: «Siamo venuti al Lago di Braies per capire come funzionava il turismo mordi e fuggi. Da quel che abbiamo visto, i turisti restano circa due ore, scattano le foto e ripartono. Mentre giravamo, abbiamo visto due bambine che correvano lungo i sentieri sulle sponde del lago e per noi sono stato il simbolo di uno sguardo infantile che  permetteva a loro di godersi quell’ambiente. Uno sguardo che le spingeva ad esplorare quel che vedevano. Qualcuno vorrebbe vietare a queste bambine di correre in mezzo al bosco?». Ovviamente no, dal canto loro, le bambine non hanno avuto tentennamenti a rispondere in maniera convinta davanti alle telecamere «A noi piacerebbe stare qui anche due o tre giorni, perché stiamo bene e vogliamo restarci prima che inizi la scuola».

Massimiliano Boschi

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